CIVITELLA NELLA STORIA

CIVITELLA NELLA STORIA

Di probabile origine longobarda, Civitella venne concessa in feudo ai marchesi di Santa Maria discendenti da Ariberto nominato marchese di Toscana da Carlo Magno. Nel 917 Berengario la conferma in feudo ad Uguccione marchese del Colle, ramo primigenito dei detti marchesi di Santa Maria. Intorno all’anno mille passò in proprietà alla Diocesi di Arezzo come capoluogo del Viscontado di Ambra, da cui il nome ufficiale di” Civitella di Valdambra “; fu anche detta comunemente “ Civitella del Vescovo “ per la frequente presenza dei vescovi aretini in questo loro fortilizio, quando le lotte e le faide familiari all’interno della città di Arezzo si facevano pericolose. Lo testimoniano molti documenti episcopali siglati in calce con il nome Civitellae (con la desinenza ae del genitivo locativo). A conferma di ciò si ricorda che il vescovo Arnaldo (1052-1062), che amava firmarsi “vescovo e conte” mentre, felice e contento, si stava preparando ad una partita di caccia nel castello vescovile di Civitella, venne colpito da un improvviso, violento dolore di testa e cominciò a gridare “moio,moio”. Spirò appena in tempo per ricevere gli ultimi sacramenti. Con ogni probabilità fu sepolto in Civitella. Inoltre gli “annales camaldulenses “ riportano una notizia precisa: la morte in Civitella nel 1186 del vescovo Eliotto. Eliotto (1176-1186), discendente da nobile famiglia di origine germanica, fu probabilmente un docente di diritto nelle scuole ecclesiastiche. In questa sua veste giuridica si battè contro il vescovo Gunteramo di Siena per l’aggiudicazione di 18 Pievi e altri enti ecclesiastici collocati ai confini delle due diocesi. Probabilmente accolse in Civitella, punta avanzata di Arezzo verso i confini del territorio senese, il cardinale Laborante, inviato dal Pontefice Alessandro III, per tentare di dirimere la controversia fra le due diocesi. La salma del vescovo rimase alcuni giorni in Civitella, impedita nel trasferimento ad Arezzo dai longobardi che avevano un forte presidio a Dorna. Finalmente fu trovato un accordo e il vescovo Eliotto potè trovare sepoltura nell’area del Pionta fra la porta e il campanile del ” Domus vetus “. In una informativa del 1809, richiesta dal governo francese e redatta in forma di statistica, si dice che altri sette vescovi aretini siano morti e sepolti in Civitella.
Ma è con il grande vescovo Guglielmo (o Guglielmino) Ubertini (1248-1289) che Civitella vive il suo periodo più importante. Piccolo di statura, da cui il diminutivo Guglielmino, claudicante, lascia molto a desiderare sotto l’aspetto fisico. Dotato di un’indomita forza interiore, ebbe una grande capacità di manovra nei contrasti interni fra le fazioni e le faide familiari della sua città e un coraggio esemplare nel guidare gli eserciti contro i nemici che tentano di sottomettere Arezzo. Uomo di pastorale e di spada, manifestò una decisa volontà d’indipendenza; prima guelfo poi ghibellino ebbe una vita estremamente movimentata e molti nemici. Nato nel 1219, giovanissimo è già Arcidiacono della cattedrale e in questa sua veste sicuramente frequentò Civitella prima della sua nomina alla cattedra di San Donato. Lo dimostra il fatto che, appena nominato vescovo, non va ad Arezzo, ma si ferma a Civitella per sottrarsi al potere laico del Comune. Qui tenta la riorganizzazione di un esercito con i fuoriusciti guelfi cacciati da Arezzo. Il Comune gli intima di entrare in città, lui risponde da Civitella con la minaccia della scomunica. Nel 1250, con gli armati di stanza nella sua roccaforte, respinge il tentativo dell’esercito ghibellino senese che tenta di occupare Civitella con un’improvvisa sortita. Nel 1252, Ildebrando Cacciaconti, podestà di Arezzo, assedia Civitella che capitola e viene rasa al suolo. Il vescovo Guglielmo inizia ben presto a ricostruire il castello di Civitella. E’ profondamente legato a questa sua curia-fortezza che l’ha ospitato e protetto nei momenti difficili successivi alla sua nomina vescovile. L’incarico della ricostruzione viene dato al capomastro Luthy. Viene fatta una potente doppia cerchia muraria a tutela del castello che viene strutturato con due torri, con volte a crociera, fra loro collegate da un camminamento e da un corridoio. L’intervento terminò probabilmente intorno al 1270. Nel 1277 Guglielmo costruisce in Civitella la nuova curia vescovile. Fra i tanti decreti emessi da Civitella dal vescovo Guglielmo da ricordare quello del 1280 con cui unisce il capitolo della Pieve di Santa Maria con quello della cattedrale di San Pietro Maggiore di Arezzo. L’interpretazione di tale documento ha suscitato polemiche a non finire fra i canonici dei due capitoli fino ai giorni nostri. Ma le lotte interne e i pericoli esterni non danno tregua; nei pressi di Civitella, nel 1286, i senesi sconfiggono gli aretini e nella rocca civitellina viene siglato un trattato di pace fra Guglielmino, i suoi canonici, il comune di Arezzo e la parte guelfa di Siena. Fu una breve tregua perché le fazioni tornarono ben presto a scontrarsi. Nel 1288 Buonconte da Montefeltro aiutò il vescovo Guglielmo nella lotta contro i senesi. Gli aretino tesero un agguato a Pieve al Toppo (frazione del comune di Civitella) all’esercito senese che lasciò sul terreno di scontro più di 300 morti. Il fatto è ricordato da Dante Alighieri nel XIII canto dell’inferno. L’11 giugno 1289, festa di Santa Barnaba, Buonconte da Montefeltro e il vescovo Guglielmo Ubertini persero la vita nello scontro con l’esercito di Firenze nelle cui fila militava il giovane Dante Alighieri. La battaglia fra i ghibellini di Arezzo e i guelfi di Firenze avvenne nella piana di Campaldino in Casentino, nei pressi di Poppi, e nello scontro i fiorentini ebbero la meglio. Dopo questa vittoria, gli armati fiorentini scendono ad Arezzo nel tentativo di conquistarla. Ma non ci riescono. Corrono allora nei dintorni, saccheggiano fortificazioni e casolari, distruggono raccolti. Vengono solo risparmiati i castelli di Laterina, Rondine, Civitella e Monte San Savino. Il 3 luglio 1289, Civitella si arrende spontaneamente e consegna le chiavi del castello al forte esercito dei fiorentini. Nel novembre dello stesso anno ( il fatto è ricordato dallo storico fiorentino Giovanni Villani nella sua “ Cronica “ ) i fiorentini, che avevano mal digerito la mancata conquista di Arezzo, tentano di prenderla con una astuta, improvvisa azione. Cavalcano nottetempo e in mattinata giungono a Civitella. Vengono però a sapere che uno dei congiurati, che all’interno di Arezzo li avrebbe aiutati nella presa della città, caduto da una finestra, aveva confessato in punto di morte il suo tradimento. Il confessore riferisce la cosa a Tarlato Tarlati da Pietramala che allerta subito le difese. Il colpo fallisce e i cavalieri fiorentini, dopo essersi riposati in Civitella, ripartono per la loro città.
Civitella non fu solo una struttura militare ideata e costruita per difendere e presidiare il territorio da una posizione strategica. Ebbe un ruolo notevole nelle vicende medioevali dopo l’anno mille e fu luogo d’importanti avvenimenti storici. In particolare fu sede di dotta curialità vescovile. Qui si elaborò e sviluppò una notevole attività pluridisciplinare con particolare attenzione ai problemi giuridico-amministrativi. E’ in questo ambiente di eccellenza intellettuale che in Civitella ebbe modo di acculturarsi Magister Rainerius, il personaggio storico più importante del nostro territorio comunale.
Rainerius ottenne la “Licentia docendi“, cioè l’autorizzazione all’insegnamento, rilasciata nel medioevo esclusivamente dall’autorità ecclesiastica e pertanto in quel tempo non facilmente ottenibile da soggetti non appartenenti alla gerarchia del clero. Fu quindi insegnante di medicina e di notariato nell’antica, gloriosa università aretina, uno dei centri di studio e di cultura fra i più antichi e rinomati dell’intera Europa. Scrisse nel 1272, in latino, allora lingua ufficiale dei dotti, un trattato di istituzioni di diritto romano dal titolo “Ars Tabellionatus “ che possiamo tradurre con la dizione “Arte Notarile“ Nato probabilmente come manuale didattico, il manoscritto ebbe una fortuna che il suo autore non avrebbe mai immaginato. Fu infatti un formulario che i notai hanno costantemente utilizzato, per lo schema dei documenti da stilare, fino al 1700. E’ lo stesso Rainerius a fornirci precisa indicazione sulla sua civitellinità; nell’ “Incipit“ della sua opera infatti presenta se stesso con queste parole : “Io sono Raniero, medico e notaio, vivo nella comunità di Arezzo (cioè nello Studium Aretino fra docenti e studenti), ma sono nato a Civitella“. Magister Rainerius è contemporaneo del vescovo Guglielmo degli Ubertini e, pur non potendolo provare, potrebbe ipotizzarsi che, per i confluenti sentimenti di empatia che legavano questi due personaggi a Civitella, si sia stabilito fra loro un qualche rapporto di collaborazione. Dopo la morte di Guglielmo Ubertini, Papa Niccolò IV consacra vescovo di Arezzo Ildobrandino dei conti Guidi di Romena (1289-1312), e gli dà l’incarico di riportare la pace in Romagna. Ildobrandino ci riuscì e, ritornato in Arezzo, abitò quasi sempre nel castello di Civitella nel frattempo tornato in proprietà della diocesi aretina. Intorno al 1310, l’Imperatore del Sacro Romano Impero, Arrigo VII di Lussemburgo (più volte citato da Dante Alighieri nella Divina Commedia), vuole pacificare i territori della Toscana e dell’Umbria sconvolti da lotte e faide locali. Venuto probabilmente a conoscenza delle capacità di mediazione del vescovo aretino, chiede ospitalità per avviare le trattative di pace. Ildobrandino accoglie in Civitella, con tutti gli onori, i due ambasciatori imperiali: Pandolfo Savelli notaio apostolico e frate Niccolò vescovo di Butrinto (da notare che Butrinto è un centro fondato dai greci, al confine fra l’Albania e la Grecia, in un’area dove si era fatta sentire l’influenza della codificazione del diritto romano voluta a Costantinopoli dall’Imperatore Romano Giustiniano). Probabilmente già dal 1310, Civitella assume la funzione di CAMERA IMPERIALE. Da qui partono messi e legati con l’incarico di trattare con i potentati più o meno vicini i complessi, difficili preliminari della pace. Dopo molti mesi di trattative, si apre in Civitella tribunale per far giurare fedeltà ai comuni e magnati di Arezzo, Cortona, Borgo Sansepolcro, Montepulciano, Monte San Savino, Lucignano, Chiusi, Città della Pieve e molti altri luoghi della Toscana e dell’Umbria, minacciando strage e sterminio ai contumaci. Sappiamo che più di cinquecento fra guelfi e ghibellini del centro Italia giurarono fedeltà ad Arrigo VII di Lussemburgo facendo maturare il grande evento della politica aretina : la cosiddetta “PACE di CIVITELLA“. Lo storico così commenta: “l’atto è redatto il 26 marzo del 1311, festa della S.S. Annunziata, nel grandioso Palazzo-Castello di Civitella. L’artefice politico e morale del patto è il pio e pacifico Ildobrandino che esercitò il potere con la massima cautela. Nel solenne castello si formulano le seguenti clausole : l’atto di morte delle fazioni “verde” e “secca”, il patto di lealtà fra le famiglie dei Bostoli e dei Tarlati, il contratto di convivenza fra Guelfi e Ghibellini, E’ presente all’atto l’intera schiera dei Tarlati, compreso Guido Tarlati arciprete della Pieve che, alla morte di Ildobrandino dei conti Guidi, nel 1312, diventerà vescovo di Arezzo, instaurando una stagione di potere della famiglia”. Guido Tarlati da Pietramala ( 1312-1327 ) fu uno dei grandi vescovi aretini, accorto politicamente, ma anche deciso nei momenti di più grande difficoltà, provvide alla ristrutturazione della rocca civitellina intervenendo là dove il tempo aveva portato lesioni alle strutture difensive. Gli succedette Buoso ( o Boso ) degli Ubertini ( 1326-1365 ) eletto dal pontefice Giovanni XXII che aveva scomunicato e deposto Guido Tarlati. Non riuscì però a prendere possesso della sua sede per l’opposizione di Guido Tarlati da Pietramala che non riconobbe e non accettò la scomunica del papa avignonese e solo nel 1337 prese possesso della cattedra di San Donato. Titubante, privo di quella forza battagliera che aveva fatto grande il suo predecessore Guglielmo; pressato dai Tarlati nemici tradizionali della famiglia Ubertini, cercò l’aiuto di Firenze e cedette alla Repubblica Fiorentina i castelli di Civitella e Castiglione Ubertini. Il 6 agosto del 1343, viene cacciato da Firenze il Duca d’Atene. Buoso ne approfitta e con 2500 ducati comprò Civitella da Guelfo Buondelmonti e Nello Accorso ufficiali che ne avevano il comando per conto della Repubblica Fiorentina. Firenze non accetta il sotterfugio e il timoroso Buoso, nel gennaio dell’anno successivo, fu costretto a consentire di rimettere la decisione ad un lodo composto da cittadini fiorentini i quali sentenziarono che Civitella restasse in custodia di Firenze. Buoso fu l’ultimo dei signori-vescovi di Civitella e fu incapace di garantire agli abitanti del castello quel minimo di sicurezza indispensabile ad assicurare protezione e difesa. Per questo i residenti di Civitella fecero istanza per essere ricevuti sotto il comune di Firenze e il 19 gennaio 1362 Giovanni del fu Brocardo e Giovanni Ture, per mandato ricevuto dai cittadini di Civitella, fecero al comune di Firenze, nella persona di Giovanni Pietro da Bagnolo, la sottomissione. Nel 1365 la Valdambra viene divisa da Firenze in tre terzieri; uno di questi terzieri è costituito da castello “Civitella Vallis Ambre“ con un podestà per governarlo, tre notai, cinque famigli e un salario di 600 lire per trimestre. Il Podestà doveva risiedere due mesi per ogni terziere e in Civitella doveva esserci un notaio permanente. Con i nuovi acquisti fatti da Firenze, nel 1385, Civitella viene staccata dalla podesteria di Valdambra e costituita in nuova Podesteria Maggiore annettendovi le terre di Ciggiano, Marciano, Montagnano, Abbazia del Pino, Oliveto, Tegoleto, Montoto, Gaenne. Nel 1391 Giovanni Tedesco Tarlati da Pietramala, conquista Civitella e Gargonza ma nel 1393, su esortazione di Papa Bonifacio IX, fu trattata la pace e il lodo emesso da Antoniotto Adamo, Doge di Genova e Ricciardo Caracciolo, nunzio del Papa, fa ritornare ciascuno in possesso dei castelli perduti. Nel 1397, messer Brogliole, capitano di ventura al soldo dei senesi, con 200 fiorini dati a Filippo Brucianese, castellano per il comune di Firenze e 500 fiorini dati a un tale Minuccio, prende il castello di Civitella che mette a ruba e a sacco uccidendo il Podestà, i difensori e gli abitanti e portando dappertutto desolazione e saccheggio. Poco rimane però Civitella ai senesi perché nel maggio del 1398 anche loro vengono traditi e con 1000 fiorini dati allo stesso Brucianese e 500 a Minuccio la rocca viene riconquistata da Giovanni Colonna capitano della Repubblica Fiorentina. Il castello di Civitella figura infine nell’ultima guerra senese (1500 – 1555). Nell’estate del 1554 l’esercito senese, forte di 2000 cavalli e di una poderosa fanteria, al comando di Piero Strozzi, tenta con gagliardo assalto di espugnare Civitella; ma la strenua difesa di Paolo da Castello, capitano al servizio di Cosimo I dei Medici, che nel frattempo aveva ristrutturato e fortificato le mura del paese, valse a respingere ogni tentativo offensivo. Piero Strozzi cercò allora lo scontro diretto contro l’esercito fiorentino guidato da Gian Giacomo Medici, marchese di Marignano. La battaglia avvenne il 2 agosto 1554 a Pozzo della Chiana, fra il fosso di Scannagallo e il fiume Esse. I senesi furono sconfitti e lasciarono sul campo di battaglia migliaia di soldati. Nel 1737 la Toscana passa dai Medici alla casa dei Lorena e Pietro Leopoldo I, con provvedimento granducale del 1774 sopprime i comuni di Oliveto, Ciggiano, Tegoleto,Badia al Pino, Tuori, Viciomaggio, Cornia, Montarfone e Montoto e li unisce a Civitella in un unico comune che prende il nome di Civitella in Val di Chiana. Il comune di Montagnano che faceva parte della podesteria maggiore di Civitella creata nel 1385, passò sotto Monte S. Savino. Più tardi verrà aggregato a Civitella anche il comune di Pieve a Maiano.

Termina qui il periodo d’oro della storia del castello di Civitella che proprio nella frammentarietà episodica tipica delle vicende medioevali aveva assunto un suo ruolo e una sua precisa funzione. D’ora in avanti la storia comincia ad avere proporzioni di più vasto respiro, dimensioni che possiamo definire regionalistiche e che rappresentano nello stesso momento la fine del frazionamento medioevale e l’inizio di una nuova epoca storica, quella che gradualmente porterà all’unità d’Italia.
Alla fine di questa breve sintesi retrospettiva, non si può dimenticare il doloroso contributo di sangue pagato da Civitella durante il secondo conflitto mondiale. Il 29 giugno 1944 il paese fu messo a ferro e fuoco da una rappresaglia dell’esercito tedesco. Gli uomini adulti furono trucidati e il paese dato alle fiamme.